Archivi del giorno: 25 agosto 2011

PUOI AVERE RAGIONE…..

TORNATO DAL GIRO D` EUROPA CON L’AAC1, INTRODUCO QUESTA SERA UNO SCRITTO DI LRH CHE E’ VERAMENTE “ATTUALE”…

RITENGO CHE SIA UN GRAN DATO STABILE, DA AGGIUNGERE A “CONCEDERE DI ESSERE” E ” CHE COSA E’ LA GRANDEZZA”

DOPO 3500 KM VI LASCIO A QUESTE PAROLE SANTE E VI AUGURO GOOD NIGHT !!

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PUOI AVER RAGIONE

La ragione e il torto costituiscono una fonte comune di discussioni e litigi.

Il concetto di ragione raggiunge livelli molto alti e molto bassi sulla Scala del Tono.

E quello di aver ragione è l’ultimo sforzo consapevole di un individuo che sta soccombendo. “Io ho ragione e loro hanno torto” è il concetto più basso che un caso inconsapevole possa esprimere.

Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non sono necessariamente definibili per tutti allo stesso modo. Variano in funzione dei codici e delle discipline morali esistenti e, prima di Scientology, nonostante il loro uso legale quali parametri di giudizio per la “sanità mentale”, non trovavano fonda- mento sui fatti ma solo sulle opinioni.

Da Dianetics e Scientology emerge una definizione più precisa. E tale definizione è diventata anche la vera definizione di atto overt. Un atto overt non consiste semplicemente nel danneggiare qualcuno o qualcosa; un atto overt è un atto di omissione o commissione che causa il minor bene per il minor numero di dinamiche oppure il maggior danno per il maggior numero di dinamiche. (Vedi “Le dinamiche dell’esistenza”).

Quindi, un’azione sbagliata risulta tale nella misura in cui danneggia il maggior numero di dinamiche. E un’azione giusta risulta tale nella misura in cui giova al maggior numero di dinamiche.

Molta gente pensa che un’azione costituisca un overt solo perché è distruttiva. Per loro, tutte le azioni od omissioni distruttive rappresentano atti overt. Questo non è vero. Perché un atto di commissione o di omissione sia un atto overt, è necessario che danneggi il maggior numero di dinamiche. Per questa ragione il mancare di distruggere può essere un atto overt.

Anche l’aiutare qualcosa che danneggi il maggior numero di dinamiche può essere un atto overt.

Un atto overt è qualcosa che danneggia in modo ampio. Un atto benefico è qualcosa che aiuta in modo ampio. Danneggiare qualcosa che risulterebbe dannoso per il maggior numero di dinamiche, potrebbe costituire un’azione benefica.

Il nuocere a qualsiasi cosa e il contribuire a qualsiasi cosa possono pari- menti rappresentare atti overt. L’aiutare certe cose e il danneggiare certe cose possono parimenti rappresentare atti benefici.

Tanto l’idea del non danneggiare nulla, quanto il concetto del sostenere tutto e tutti sono piuttosto folli. La convinzione che aiutare gli schiavisti sia un’azione benemerita sarebbe discutibile, e altrettanto discutibile sarebbe il considerare la distruzione di una malattia un atto overt.

Riguardo all’aver ragione oppure all’aver torto, può nascere una gran confusione nel pensare. Non esistono cose giuste o sbagliate in assoluto. Avere ragione non consiste nel rifiutarsi di danneggiare, e avere torto non consiste unicamente nel non recar danno.

Nell’“aver ragione” c’è qualcosa d’irrazionale che non solo rende invalidi (privi di valore o efficacia) i test legali sulla sanità mentale, ma spiega anche il motivo per cui certe persone fanno cose molto sbagliate e insistono nell’aver ragione.

La risposta si trova nell’impulso, innato in ciascuno di noi, di cercare di aver ragione. Si tratta di un’ostinatezza che ben presto diventa separata dall’azione corretta ed è accompagnata dal tentativo di mettere gli altri nel torto, come si può notare nei casi ipercritici. Un essere che abbia perso apparentemente conoscenza, sta ancora avendo ragione e mettendo gli altri dalla parte del torto. È l’ultima critica.

Abbiamo visto “persone sulla difensiva” che accampavano scuse persino per i loro torti più flagranti. Anche queste sono “giustificazioni”. La maggior parte delle spiegazioni sul comportamento, non importa quanto siano tirate per i capelli, sembrano perfettamente giuste a chi le dà, visto che sta semplicemente asserendo la propria ragione e il torto degli altri.


Da tempo diciamo che ciò che non è ammirato tende a persistere. Se nessuno ammira una persona per il fatto che abbia ragione, allora il “marchio di chi ha ragione” di quella persona persisterà, per quanto folle questa cosa possa sembrare. Sembra che quegli scienziati che sono aberrati non riescano a partorire molte teorie. Non ci riescono perché sono più interessati a insistere sulla correttezza della loro balzana ragione che a trovare la verità. Perciò ci giungono strane “verità scientifiche” da uomini che dovreb- bero saperne di più, tra cui il defunto Einstein. La verità è creata da coloro che dispongono dell’apertura mentale e dell’equilibrio necessari per riconoscere anche dove hanno torto.

Sicuramente avrete sentito delle discussioni piuttosto assurde tra le persone. Rendetevi conto che chi parlava era più interessato a asserire la propria ragione, che ad aver ragione.

Un thetan cerca di avere ragione e combatte l’aver torto. Questo non ha niente a che vedere col fatto di aver ragione riguardo a qualcosa o di compiere realmente le cose giuste. Si tratta di un’insistenza che non ha niente a che fare con la correttezza della condotta.

Si cerca di aver ragione sempre, fino all’ultimo respiro. Ma allora com’è mai possibile che qualcuno cada nel torto? Accade nel modo seguente:

Si compie un’azione sbagliata, accidentalmente o per una svista. Il torto dell’azione o dell’inazione entra quindi in conflitto con la propria necessità di essere nel giusto. Di conseguenza può succedere che la persona continui a ripetere l’azione sbagliata al fine di provare che è giusta.

Questo è uno dei fondamenti dell’aberrazione. Tutte le azioni sbagliate sono il risultato di un errore, seguito dall’insistenza sul fatto che si aveva ragione. Invece di correggere lo sbaglio commesso (che implicherebbe l’avere torto), si insiste nell’affermare che l’errore era in realtà un’azione giusta, e così lo si ripete.

Più un essere scende verso il basso, più gli risulta difficile ammettere di aver avuto torto. Non solo, ma un’ammissione del genere potrebbe benissimo risultare disastrosa per quel che resta della sua abilità o sanità mentale.

Questo perché l’aver ragione costituisce l’essenza della sopravvivenza. E, man mano che ci si avvicina all’ultimo barlume di sopravvivenza, si può solo insistere di aver avuto ragione, perché credere anche per un istante di aver avuto torto, significherebbe andare incontro all’oblio.

L’ultima difesa di qualsiasi essere è “io avevo ragione”. Questo vale per chiunque. Quando questa difesa crolla, calano le tenebre.

Per cui ci troviamo di fronte alla spiacevole scena di ragione che viene asserita a dispetto di torto flagrante. E qualsiasi successo nel far sì che l’essere riconosca il suo torto ha come risultato un’immediata degradazione, incoscienza o, nel migliore dei casi, una perdita di personalità. Pavlov, Freud, come la psichiatria, non hanno mai afferrato la fragilità di questi dati di fatto e perciò valutavano e punivano i criminali e i pazzi, spingendoli verso ad ulteriore criminalità e pazzia.

Tutta la giustizia oggi contiene un celato errore, l’ultima difesa è credere nella propria ragione, senza tener conto delle accuse e nemmeno delle prove a carico, e lo sforzo di mettere qualcuno nel torto ha come unico risultato la degradazione.

Ma tutto ciò sarebbe un vicolo cieco senza speranza, che porta a condizioni sociali veramente caotiche, se non fosse per un unico fatto positivo.

Tutto l’agire sbagliato, ripetuto e “incurabile” nasce dall’esercizio di quest’ultima difesa: “cercare di essere nel giusto”. Per cui l’agire sbagliato compulsivo può essere curato, per quanto pazzo possa sembrare o per quanto a fondo si insista che sia giusto.

Far sì che il colpevole ammetta di aver torto significa andare incontro ad ulteriore degradazione e perfino incoscienza o la distruzione di un essere. Perciò lo scopo della punizione è vanificato e la punizione ha un’efficacia minima.

Ma facendo sì che il colpevole cessi di sbagliare ripetutamente in modo compulsivo, allora lo si guarisce.

Ma come? Riabilitando l’abilità di avere ragione!


Ciò ha infinite applicazioni: nell’addestramento, nelle abilità inerenti alla vita sociale, nel matrimonio, nella legge, nella vita.

Esempio: una moglie brucia continuamente la cena. Nonostante i rimproveri, le minacce di divorzio, qualsiasi cosa, la compulsione continua. Si può mettere fine a quest’agire sbagliato facendole spiegare che cosa c’è di giusto nel suo modo di cucinare. Questo, in alcuni casi estremi, potrebbe benissimo provocare una furiosa filippica ma, se si rende flat la domanda, tutto ciò si smorzerà e lei allegramente smetterà di bruciare la cena. Quando la cosa assume proporzioni classiche, ma ciò non è veramente necessario per porre fine alla compulsione, si recupererà un momento del passato in cui lei accidentalmente bruciò una cena e non fu in grado di riconoscere di aver fatto qualcosa di sbagliato. Per essere nel giusto, da allora in poi dovette continuare a bruciare la cena.

Va’ in una prigione e trova un carcerato mentalmente sano che dica di aver sbagliato. Non ne troverai. Solo i relitti umani lo diranno, nel terrore di essere danneggiati. Ma neanche loro credono di aver sbagliato.

Un giudice in cattedra, quando emette sentenze contro dei criminali, si soffermerebbe a riflettere se si rendesse conto che nessun malfattore condannato pensa veramente di aver sbagliato e in realtà non lo crederà mai, anche se può darsi che, ammettendolo, stia cercando di evitare l’ira altrui.

Le anime caritatevoli si scontrano continuamente con questo tipo di cose e a ciò sono dovuti i loro fallimenti.

Ma il matrimonio, la legge, il crimine, non sono gli unici settori della vita per cui vale questo principio. Questi dati di fatto abbracciano tutti gli aspetti dell’esistenza.

Lo studente che non riesce a studiare, il lavoratore che non riesce a lavorare, il capo che non riesce a capeggiare, sono tutti presi da uno dei lati della questione “ragione e torto”. Sono completamene unilaterali. Sono quelli che hanno ragione “fino all’ultimo”. E, contrapposti ad essi, quelli che vorrebbero impartire loro un insegnamento, sono fissati sull’altro lato: “ammetti di aver torto”. E da ciò deriva non solo una situazione senza cambiamenti, ma laddove questo “vince”, avviene anche una vera e propria degradazione. Ma non ci sono vittorie in questo squilibrio, ci sono solo fallimenti per entrambe le parti.


I thetan che si trovano sulla via del declino non credono di aver torto perché non osano crederlo. E perciò non hanno cambiamenti.

Più di un preclear, nel processing, sta solo tentando di dimostrare che ha ragione e che l’auditor ha torto, specialmente ai livelli inferiori di caso e così a volte ci ritroviamo con sedute senza cambiamenti.

E quelli che non intendono essere auditi affatto sono così totalmente fissati sull’asserire la propria ragione e sono così vicini ad una condizione disperata, che se si mettessero in discussione le volte in cui in passato hanno avuto ragione, loro pensano che ciò li distruggerebbe.

Ho la mia parte in proposito quando un essere, vicino ad estinguersi e di vedute contrarie, afferra per un momento il fatto che Scientology sia nel giusto, poi in un’improvvisa difesa asserisce, a volte quasi terrorizzato, che è lui “nel giusto”.

Sarebbe un grave errore permettere a un individuo di continuare ad oltraggiare Scientology. La giusta strada è fargli spiegare quanto lui sia nel giusto, senza che spieghi quanto Scientology sia sbagliata, perché questa seconda cosa significherebbe lasciargli commettere un serio overt. “Che cosa c’è di giusto riguardo alla tua mente?” produrrebbe più cambiamenti di caso e ti farebbe ottenere più amici di qualsiasi valutazione o punizione allo scopo di metterli dalla parte del torto.

Tu puoi aver ragione. Come? Facendo sì che un altro ti spieghi in che modo lui ha ragione fino a che, essendo ora meno sulle difensive, egli può assumere un punto di vista meno compulsivo. Non devi necessariamente concordare con ciò che pensa. Devi dare solo riconoscimento a quello che dice. E, d’improvviso, ecco che lui può avere ragione.

Si possono fare un sacco di cose con la comprensione e l’uso di questo meccanismo. Tuttavia ci vorrà un po’ di studio di questo articolo prima che tu possa metterlo in pratica agevolmente; perché tutti noi siamo in una certa misura reattivi su questo soggetto.

Come Scientologist, ci troviamo di fronte ad una società impaurita, che pensa che avrebbe torto, se si scoprisse che noi abbiamo ragione. Abbiamo bisogno di un’arma per rimediare a questo. Ce ne abbiamo una qui.


E tu puoi avere ragione, sai. Probabilmente sono stato il primo a crederlo, meccanismo o non meccanismo. La strada verso l’aver ragione è la strada verso la sopravvivenza. E ogni persona si trova in un qualche punto di questa scala.

Puoi metterti dalla parte della ragione, tra altri modi, mettendo gli altri dalla parte della ragione in maniera sufficiente perché si possano permettere di cambiare opinione. A quel punto, un numero ben maggiore di noi ci arriverà.

LRH

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